Le Piccole, Medie e Micro Imprese (PMI) italiane si vedono costrette ad affrontare delle sfide uniche nel contesto del whistleblowing. La tipologia delle PMI nel sistema italiano è molto variegata, per non dire unica se rapportata in un più ampio contesto europeo. Specialmente nelle piccole e micro imprese, organizzazione, metodologie, amministrazione, controllo e gestione sono spesso connotate da un approccio "fai da te". Le PMI infatti sono un mondo a sè e parlare di ERP, CMS, CRM, PLM è come comunicare in arabo con un eschimese. Non è quindi affatto raro trovare situazioni nelle quali le imposizioni e gli obblighi legislativi sono trattati con la tipica fantasia e creatività che ci distingue nel mondo, andando a scovare cavilli tra i quali muoversi più agevolmente. Ma nella particolarità dell'obbligo di istituire un canale interno di segnalazione degli illeciti a dominare è la paura, i timori, l'incertezza che deriva dal dover affrontare situazioni difficilmente controllabili e o manipolabili. Ma vediamo per sommi capi quali sono punti di vista e le reazioni di fronte alle novità introdotte dal D.lgs 24/2023.
In molte PMI, la scarsa percezione dell'utilità delle normative legate al whistleblowing, come il Decreto 24/23 e la Legge 231/01, è radicata in una cultura aziendale mai orientata alla prevenzione. La mancanza di consapevolezza sulle motivazioni dietro tali normative contribuisce ad una sottovalutazione del loro ruolo nel garantire una gestione etica e trasparente dell'attività imprenditoriale.
L'introduzione di ciò che è percepito come l'ennesimo obbligo burocratico legato all'implementazione di canali di segnalazione interna è spesso mal recepita nelle PMI, dove la gestione ed organizzazione "creativa, snella e proattiva" è preferita alla presenza di procedure formali. Le imprese vorrebbero maggiore libertà nella gestione delle attività interne, sottolineando la necessità di semplificare la burocrazia associata non solo al whistleblowing.
In molte PMI, la cultura del "siamo una grande famiglia" spinge a risolvere internamente le problematiche, senza coinvolgere autorità esterne. La trasparenza non è di casa. Insabbiare o zittire le forme di dissenso è sicuramente più agevole che gestire le problematiche correlate alla necessità di trovare una soluzione. Questo approccio può essere motivato dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni o "dall'assenza di consapevolezza" sull'importanza di segnalare comportamenti illeciti alle autorità competenti.
Nelle PMI, la corruzione spesso è considerata solo gratitudine per uno scambio di favori, un do ut des, un riconoscimento extra, piuttosto che una pratica illecita. Tu mi preferisci come fornitore ed io ti dò "qualcosa" in cambio, mi pare ovvio. La mancanza di consapevolezza delle sottili sfumature tra corruzione e pratiche non etiche può influire sulla volontà di implementare o pubblicizzare i canali interni di whistleblowing, anche se la corruzione è solo una degli illeciti segnalabili.
La resistenza o meglio la paura di dover gestire una mole di lavoro extra, sepolti da una valanga di segnalazioni anonime, porta talvolta le PMI a nascondere, nel sito istituzionale, l'esistenza dei canali interni di segnalazione o per lo meno rendere poco agevole la loro ricerca. Questa pratica, sebbene miri a tentare di ridurre preventivamente l'impatto di un ipotetica tempesta di segnalazioni, può compromettere l'efficacia del whistleblowing nell'identificare e risolvere comportamenti illeciti. Nelle PMI il Whistleblowing non è visto di buon occhio ma, stante l'obbligo, il noto genio italico pensa bene di creare "difficoltà" e "deterrenti" per minimizzarne l'utilizzo. Dietro la facciata di siti web aziendali che abbondano di effetti speciali e descrizioni ridicole, che appiattiscono la percezione concentrando l'attenzione sui temi in voga: green, sostenibilità, etica, trasparenza, siamo leader nel mercato, abbiamo i numeri, dietro tutto ciò trovare il modello 231 è un impresa, trovare le procedure per il whistleblowing (anche solo analogico) bisogna navigare tra i cataloghi, tra le schede prodotto, tra le certificazioni, nello spiegone del "chi siamo", nella sezione "Mission" o "Storia dell'azienda", "Sostenibilità", "Etica e trasparenza"...il classico ago nel pagliaio.
La paura che il canale di segnalazione interno, affidato ad una piattaforma digitale, venga utilizzato come un mezzo per veicolare malware è un'altra sfida per le PMI. La necessità di garantire la sicurezza informatica e la protezione dai potenziali abusi del sistema di whistleblowing richiede un approccio oculato nella sua implementazione... no, no, meglio tenere solo il canale di segnalazione cartaceo che di per sè è già un deterrente molto efficace, "...altrimenti dovrei anche aggiornare Windows Vista".
Oltre al rischio malware, nelle PMI è palpabile il timore che il canale di segnalazione interno, gestito da piattaforma in cloud, possa venire utilizzato per veicolare pubblicità non richiesta, insulti, false segnalazioni, calunnie verso i vertici aziendali, lamentele dei clienti, scherzi e zingarate in stile "Amici miei".
L'arte tutta italiana di trovare scuse a giustificazione è impareggiabile. E' l'arte di cambiare le cornici di percezione della realtà per ridisegnare le situazioni in qualcosa di positivo ed utile alla collettività. Togliere le dotazioni di sicurezza di un macchinario? No! è un modo per velocizzare la produzione e migliorare la competitività a livello internazionale. Sversare i residui di produzione nel rigagnolo che passa accanto allo stabilimento? No! Si chiama ottimizzazione ambientale eco sostenibile per contrastare l'impatto negativo delle discariche di rifiuti. E' così che le guerre diventano missioni di pace e gli inceneritori, termovalorizzatori. A corredo, si deve rilevare una buona dose di menefreghismo ignorante, arroganza e prepotenza di certi imprenditori che, auspicando una maggiore libertà, si sentono autorizzati e giustificati ad assumere comportamenti per la società deprecabili ed inaccettabili ma adottati con la convinzione che gli stessi rientrano nel lecito dominio di chi paga le tasse e procura lavoro.
Le PMI a ridosso della soglia minima dei 50 dipendenti od appartenenti a settori produttivi nei quali il fenomeno della corruzione è trattato con la stessa attenzione che si riserverebbe alla probabilità di essere colpiti da un meteorite, vivono nella convinzione che all'interno dell'attività imprenditoriale va tutto bene, a rigor di leggi, decreti e norme. "Io faccio il gommista, nessuno mi mai chiesto mazzette per 4 gomme da neve!". "Io produco torte e merendine, cosa c'entro io con la corruzione?" "Siamo un impresa di pulizie, sbagliare è umano ma parlare di illeciti e corruzione da noi mi sembra un esagerazione ed un utopia". "Noi produciamo dadi e bulloni da 40anni, mai avuto problemi ed abbiamo delle ottime recensioni su feisbuc!, non abbiamo bisogno grazie". Che dire?
La parte delle PMI che argomenta sul filo delle interpretazioni per trovare la soluzione meno invasiva ed impattante è meravigliosa. Ci permette di avere un quadro preciso di come venga (mal)digerita l'introduzione degli obblighi legislativi in tema di whistleblowing. E' sufficiente consultare i "position paper" delle varie associazioni di riferimento per un elenco di timori e paure spesso ingiustificate. Timore di non avere il controllo della segnalazione. Paura delle segnalazioni anonime, tanto da pretendere l'identificazione del mittente. Paura di segnalazioni "attraverso canali non presidiati da rigorosi meccanismi di controllo" (es.social network) per cui "sarebbe opportuno escludere il ricorso alla segnalazione esterna". Si vorrebbero (a priori) sanzioni efficaci per dissuadere il segnalante dall’effettuare segnalazioni che si rivelino (poi) false o infondate, una specie di cauzione a perdere che pare non proprio in linea col diritto, forse preludio alla proposta di introdurre il whistleblowing a pagamento. Non entriamo nel merito delle interpretazioni sul diritto del segnalante e del segnalato, sono cose che spettano agli addetti ai lavori ma è chiaro che si parla apertamente di dissuasione, sanzioni e punizioni esemplari. La normativa sul whistleblowing, per certe aziende leader, "portatrici di interessi", va depotenziata, resa difficilmente applicabile o impraticabile.
Nel contesto delle PMI italiane, il whistleblowing emerge come una sfida complessa che richiede una consapevolezza più approfondita delle normative e delle sue implicazioni. La necessità di bilanciare la resistenza alle segnalazioni di illeciti con la responsabilità etica e legale, rappresenta una delle sfide principali per queste imprese, richiedendo un approccio ponderato ed una maggiore consapevolezza delle implicazioni positive del whistleblowing nella gestione aziendale.
Un ultimissima considerazione, forse ingenua e banale ma necessaria per una riflessione generale: Un imprenditore serio, ben inserito nel contesto sociale ove conviene a tutti cooperare e collaborare per il bene comune, attivamente protagonista con un approccio imprenditoriale etico e trasparente, onesto, corretto, integro, ha tutto l'interesse a vigilare che tutto in azienda funzioni a dovere ed usare a proprio vantaggio la disciplina del whistleblowing. Che senso ha resistere dichiarandosi innovatore, che senso ha depotenziare il whistleblowing dichiarandosi etico. Che senso ha coalizzarsi in gruppi di potere contrari agli interessi della comunità? Non è forse anche quest'ultimno un comportamento da segnalare?
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